Qualcosa da leggere
Testi integrali dei racconti finalisti a concorsi letterari
(the) Cure
La voce di Robert Smith si spandeva violenta e dolente fra le quattro mura della piccola camera, sbatteva contro le pareti, vibrava sulla finestra e risucchiava ogni altro suono presente. Il ragazzo, sdraiato sul letto con gli occhi fissi al soffitto, si lasciava investire da quel frastuono melodioso che spazzava via i pensieri che gli affollavano la testa e gli permetteva finalmente di concedersi qualche attimo di meritato riposo celebrale. Da quando era tornato a casa da scuola, il suo cervello non aveva mai smesso di girare come un frullatore impazzito e fuori controllo. Solo adesso si era calmato un po’, grazie alle vibrazioni potenti della musica, alla sua capacità di dargli sollievo e pace. Ma non sarebbe potuta durare ancora a lungo, quella fuga dalla realtà, perché di lì a poco avrebbe dovuto prendere una decisione e il bivio che si trovava a dover affrontare non era affatto semplice. Da una parte c’era quella ragazza così carina, arrivata nella sua scuola qualche settimana prima, perché sua madre aveva finalmente ottenuto il tanto agognato trasferimento lavorativo che attendeva da tempo. E così lei l’aveva dovuta seguire, abbandonando la città dove era cresciuta, ma non le era dispiaciuto troppo, dopotutto i cambiamenti le erano sempre andati a genio e anche questo non aveva fatto eccezione. Arrivata nella nuova scuola poi non era di certo passata inosservata. Con quel viso pallido e dolce, incorniciato da splendidi capelli corvini tagliati corti un po’ da maschietto, e quegli occhi grandi, intensi, scuri e penetranti aveva subito attirato l’attenzione di tutti gli adolescenti. I quali però erano rimasti spiazzati dal suo carattere forte e schivo, poco incline al corteggiamento maschile e a tutte quelle attenzioni che tanto sembravano interessare le sue coetanee. Già qualcuno si era fatto avanti con lei, proponendole di uscire, di andare a prendere un gelato, cose così, ma senza ottenere risultati. All’inizio lei sembrava non essere interessata a quel gruppo di studenti con cui si era ritrovata a condividere l’esistenza. Le sembravano tutti così noiosi, omologati, come fabbricati dalla stessa catena di montaggio. Una marmaglia di automi analoghi nel comportamento e nell’aspetto, capaci di accettare solo chi ritenevano uguale a loro, chi giudicavano allineato al pensar comune. Lei provava un denso senso di isolamento quando era in mezzo a loro, un vago sentimento di disagio per quella massa che si credeva ribelle e anticonformista e invece era un enorme calderone di banalità al servizio di un grande niente. Un giorno però si era accorta di quel ragazzo molto timido, spesso solo e silenzioso, sempre vestito di nero e con grossi anfibi scuri ai piedi. Aveva iniziato ad osservarlo, anche in classe, perché quel giovane introverso, amante della letteratura e della musica rock, destava in lei una crescente simpatia e un interesse dolce ed empatico. Quello che la incuriosiva ed attraeva era la sua diversità, il suo essere come un isolato fiore giallo in mezzo a un enorme prato verde. Naturalmente era stata lei a farsi avanti per prima, ad attaccare discorso e a iniziare a trascorrere con lui tutte le ricreazioni. In quei brevi istanti fra una lezione e l’altra esistevano solo loro due e le loro chiacchiere sui poeti maledetti, sulla musica di Kurt Cobain, sulla magia del cinema di Tim Burton. Parlavano e scoprivano di avere tante passioni in comune, tanti punti d’incontro verso cui convergevano le loro anime così affini e allo stesso tempo tanto lontane da quanti gli gravitavano intorno. Era una strana affinità elettiva la loro, che li faceva sentire i soli abitanti di questo affollato pianeta. E poi un giorno, sempre lei, gli aveva chiesto di accompagnarla il prossimo sabato pomeriggio a quel negozio di musica rock di cui lui era un frequentatore assiduo, perché aveva qualche soldo da parte e voleva comprare qualche disco nuovo. E così questa era la prima strada del bivio. Ma era anche la più rischiosa. Già, perché quel ragazzino fragile, così bravo a scuola e così diverso da tutti i suoi compagni, non era molto ben visto all’interno della scuola. Il fatto di non essere allineato, di non sottostare alle regole non scritte del gruppo, lo aveva reso un facile bersaglio dei più prepotenti. In alcune occasioni gli sfottò avevano preso una brutta piega trasformandosi in vere e proprie zuffe, ed era sempre lui ad avere la peggio. Il fatto poi di essere diventato oggetto di attenzioni e simpatie da parte di quella ragazza nuova, a cui tanti facevano il filo inutilmente, non aveva certo contribuito ad aumentare la sua popolarità. E così, venuti chissà come a sapere di quell’appuntamento, i bulli della scuola erano decisi a boicottarlo, minacciandogli una bella scarica di botte nel caso gli fosse venuta la malaugurata idea di uscire di casa quel sabato pomeriggio. Ed ecco spiegata la seconda strada di quell’annoso bivio che gli si parava dinanzi. Un bivio amletico che si dondolava frenetico su due inconciliabili questioni: andare all’appuntamento e rischiare di prenderle o restarsene chiuso in casa e perdere quella magnifica occasione?
Aprì gli occhi socchiusi e si mise a sedere sul letto, la musica colpiva ancora forte e adesso nell’aria si libravano convulse le note di Sad but true dei Metallica. Afferrò il telecomando e abbassò il volume, quindi volse lo sguardo verso l’orologio affisso sopra la sua scrivania. Erano già le tre del pomeriggio, doveva prendere una decisione e anche in fretta perché l’appuntamento era alle quattro in centro e per arrivarci ci voleva mezzora buona, sempre che non avesse trovato il solito stupido e caotico traffico da compere del week-end. Scrutò la parete di fronte a lui, dove campeggiava un grosso poster in cui Layne Staley fissava il mondo esterno con aria fiera e strafottente. Dalla finestra entrava nella stanza un cono di luce che illuminava il volto della voce degli Alice in Chains e, come l’invitante canto di una sirena, invogliava a stare fuori, a godere della bella giornata primaverile che si era paventata all’improvviso, in barba alle brutte previsioni del giorno precedente, minaccianti nuvole e pioggia in quantità. Forse quello era un segno, forse non doveva restarsene asserragliato in casa, forse quella paura che aveva era del tutto inutile e ingiustificata e quel gruppo di attaccabrighe magari era andato come tutti i sabati a giocare a calcio e neanche si ricordava delle minacce profuse a piene mani. Aveva bisogno di convincersi, di una molla che facesse propendere la bilancia verso quello che più desiderava fare, ma di cui aveva una paura fottuta. Si alzò in piedi e cominciò a camminare avanti e indietro per la piccola camera. Rimbalzava da una parete all’altra, accompagnato dalla soffusa ritmica della chitarra di John Frusciante. A un certo punto, imboccò quasi per caso la porta e in un attimo si ritrovò a percorrere il lungo corridoio di casa. Una forza invisibile lo stava trascinando fuori dalle protettive mura domestiche e lui la assecondava. Pochi secondi ancora e si ritrovò in strada. Un brivido di paura gli percorse la schiena, ma ormai era troppo tardi per battere in ritirata, ormai non c’era altra possibilità che andare avanti. Prima di muoversi però, diede una attenta occhiata in giro, per sincerarsi di eventuali sgradite presenze. Nulla, nessuno in vista: la strada era completamente libera. Si mise le cuffie dell’iPod nelle orecchie, selezionò con cura il brano di partenza e, con le prime note di Knockin’ on heaven’s door arrangiata dai Guns n’ Roses, si mise in cammino.
Avanzava tranquillo lungo la strada in leggera pendenza che portava alla fermata del bus, con gli occhi ben piantati sui suoi piedi, che passo dopo passo si sentivano più leggeri. Aveva fatto la scelta giusta e ogni cosa sarebbe andata nel verso giusto. Quando verso la fine della discesa alzò lo sguardo da terra, il suo viso sbiancò. Proprio a pochi passi da lui si stagliava la sagoma dell’incubo incontrastato di tutto il quartiere, quello che ormai tutti conoscevano con il nomignolo di uomo degli aneddoti. Un essere incredibile, un parlatore instancabile dal quale era difficile divincolarsi. Sembrava che ogni cosa a questo mondo capitasse a lui, tutte le stranezze più assurde, tutti gli avvenimenti più astrusi, tutto di tutto. E lui elargiva agli altri con grande generosità ogni sua vicenda, infarcendola di particolari minuziosi e, dopo qualche minuto, irritanti per qualsiasi ascoltatore. La sua apparizione non ci voleva proprio. Sapeva che se non fosse stato veloce e furbo a sgusciare via, quell’individuo non avrebbe mollato la presa per almeno un’ora e allora addio per sempre appuntamento. La fortuna però gli regalò una preziosa occasione. In fondo alla strada principale si delineò la figura tozza e rossastra dell’autobus, proprio quello che gli serviva per raggiungere il centro. Senza pensare troppo si mise a correre e con un’abile finta di corpo eluse l’avversario, già pronto ad iniziare il racconto della sua ultima mirabolante avventura. Corse a perdifiato e riuscì a saltare al volo sopra la sua ancora di salvezza, la scialuppa di salvataggio che lo avrebbe trascinato lontano da quel pericoloso rischio di naufragio delle sue intenzioni. Quando si ritrovò al sicuro, tirò un sospiro di sollievo: il pomeriggio sembrava iniziare sotto i migliori auspici. L’autobus era mezzo vuoto, pagò la corsa e si sedette su un sedile singolo attaccato al finestrino.
Le immagini della città correvano sotto i suoi occhi, mentre le note di Black hole sun gli cullavano la mente. Una serie infinita di condomini tutti uguali si alternavano lungo la strada, il traffico si faceva più serrato, arrivare a destinazione sarebbe stato piuttosto lungo. Ma lui adesso si sentiva bene, la musica tonificante nelle orecchie a dargli forza e a scacciare in un angolo i pensieri negativi. La stazza delle abitazioni cominciò ad alleggerirsi, piccole case di mattoni rossi si susseguivano adesso in perfetto ordine. Prati curati e auto di grossa cilindrata ne erano contorno: ogni cosa sembrava disposta ad arte per imitare la perfezione. E infine arrivarono anche i colori, i vecchi docks del porto riportati a nuova vita, il vecchio che si rinnova e si reinventa grazie alla genialità umana. Quando infine apparve il fiume, il ragazzo abbandonò il suo giaciglio e si diresse verso l’uscita. Era una giornata eccezionalmente calda, tanta gente in giro passeggiava, approfittando dell’inaspettata tregua da nuvole e pioggia. Mancavano ancora dieci minuti all’orario stabilito. Si sedette su una panchina di fronte all’acqua e tirò fuori dallo zaino un libro di racconti di Irvine Welsh. Quando lei arrivò, lui era così immerso nella lettura che non se ne avvide neanche. Allora lei si mise un po’ in disparte ad osservare quello strano ragazzo, alieno a quella superficiale imbecillità tipica dell’adolescenza. Passarono quasi dieci minuti prima che lui si accorgesse della sua presenza e quando la vide, appoggiata ad un albero che lo osservava con aria divertita, arrossì di colpo. Lei era bellissima: un paio di jeans neri e attillati, una maglietta nera su cui campeggiava la gigante scritta rossa Iron Maiden e un paio di occhialetti tondi alla John Lennon a ripararle gli occhi. Dopo quel primo momento di imbarazzo, dovuto molto probabilmente al fatto che era la prima volta che usciva da solo con una ragazza, il clima si sciolse e la giornata fu memorabile. Trascorsero un paio d’ore al negozio di musica che la ragazza trovò assolutamente sensazionale. Lei acquistò un paio di dischi di musica trip-hop mentre lui un vecchio vinile di Jimi Hendrix, Live at the filmore east. Quindi mangiarono un panino lungo il fiume, ridendo e scherzando come solo una coppia affiatata e innamorata è capace di fare. Quando il sole cominciò a scomparire dietro le case, decisero di concludere la serata al centro commerciale, al cinema davano Across the universe ed entrambi avevano una gran voglia di vederlo.
Mentre entravano nella pancia della gigantesca e iper-moderna struttura, lui si accorse di aver commesso un grave errore a proporle quel luogo. Dove vanno infatti i ragazzini per trascorrere qualche ora e cercare di rimorchiarsi a vicenda? In questi tempi moderni, un centro commerciale è il luogo ideale dove buttar via la propria giovinezza. E come da copione, proprio a metà del lungo corridoio centrale, assiepati davanti al negozio di videogiochi, ecco apparire quel gruppo di bulletti che gli avevano giurato vendetta nel caso fosse uscito con la sua compagna. Quando lo videro passare, si voltarono tutti a guardarlo, minacciosi e ammutoliti, mentre lui, con il cuore che batteva all’impazzata, gli sfilava davanti. Furono attimi infiniti, una lunga scena al rallentatore di quelle perfette per creare paura e tensione nello spettatore. Ma non successe nulla e i due riuscirono a raggiungere la sala del cinema senza brusche e spiacevoli interruzioni. Né le immagini colorate, né la musica dei Beatles riuscirono però a distendere i suoi nervi ormai tesi e, quando i titoli di coda iniziarono a scorrere sullo schermo, lui si preparò ad andare incontro alla furia di quegli insensati. Ma si sbagliava. Il centro commerciale era ormai quasi deserto, i negozi erano già tutti chiusi e una luce soffusa rischiarava l’ambiente. Un lungo sospiro di sollievo sospinse lontano i suoi cattivi pensieri. Si affrettarono verso la fermata per non rischiare di perdere l’ultimo autobus. Il primo a passare fu quello di lei che, poco prima di venire inghiottita dal mezzo, lo salutò schioccandogli un dolce bacio sulla guancia sinistra. Quel gesto così spontaneo e naturale lo lasciò spiazzato e disegnò sul suo viso un piccolo sorriso inebetito. Rimase così imbambolato per alcuni minuti, finché il frastuono dell’autobus in arrivo non lo riportò coi piedi per terra.
Dall’Ipod si diffondeva lieta nelle sue orecchie la voce di Lou Reed che intonava la melodia di Perfect day e lui era felice, sentiva che quella era stata la giornata più bella della sua vita. La sua mente leggera si godeva il viaggio, scortato da una lunga processione di lampioni che irradiavano coni di luce rossastra sull’asfalto. Poca gente camminava per strada, per lo più in solitudine, il traffico ormai si era calmato. Un’aura di serena tranquillità avvolgeva la città e, come in un sogno, il lungo autobus sembrava volare veloce e silenzioso lungo la strada. Insieme a lui sulla vettura, solo un ragazzo di colore, sulla ventina che giocherellava col cellulare forse in attesa che qualcuno si ricordasse di lui. E poi l’autista, rinchiuso nella sua cella di conducente. Il ragazzo, avvolto da quell’atmosfera magica, si accorse all’ultimo dell’approssimarsi della sua fermata. Corse alla porta e con un balzo si ritrovò sul marciapiede, mentre dietro di lui il bus già si allontanava inghiottito dalla notte. Respirò profondamente la fresca aria notturna e iniziò a salire lungo la strada che lo avrebbe condotto a casa. Non c’era anima viva in giro; il silenzio e il buio lo facevano sentire come il padrone di un mondo di cui pochi erano a conoscenza. Amava la notte perché gli trasmetteva la sensazione di essere protetto dal grande e avvolgente abbraccio dell’oscurità. Poi, ad un tratto, iniziò a scorgere come delle sagome lungo la carreggiata, quattro o cinque figure che parlottavano fra loro. Quando quel gruppetto si accorse del suo arrivo, cominciò ad andargli incontro sempre più velocemente e in un attimo si ritrovò accerchiato. Erano i suoi compagni di scuola, quel branco di giustizieri della notte capaci di prendersela solo coi più deboli. Non volevano che la loro reputazione fosse rovinata da quella disobbedienza ai loro comandi. Adesso era in trappola, non c’era alcuna possibilità di mettersi in salvo. La cosa che lo stupì però fu che non aveva alcuna paura di loro. Era attorniato da quei bulletti che già cominciavano a sfotterlo e spintonarlo, ma non era stato assalito dal timore che di solito lo attanagliava. Era tranquillo, cercò di difendersi, di parare i colpi come poteva, anche se la superiorità numerica schiacciante non giocava a suo favore. Lo lasciarono per terra, con la maglietta dei Clash strappata, un bel po’ di ematomi sparsi per il corpo, qualche taglietto sul viso e il naso che gocciolava sangue. Ma lui non piangeva, non sentiva quasi il dolore delle percosse sul suo corpo. Si alzò in piedi, si strofinò via di dosso un po’ di polvere raccolta dall’asfalto e riprese con calma la strada di casa. Malconcio e pesto, ma incredibilmente felice. Perché in cuor suo non c’era alcun dubbio: oggi aveva vinto lui!
(the) Cure è stato finalista alla IX Edizione del Premio Letterario Giovane Holden - 2015
Pubblicato nell'antologia: AA.VV. "I giovani di Holden", Giovane Holden Edizioni - 2015
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