Qualcosa da leggere
Testi integrali dei racconti finalisti a concorsi letterari
Malecon
Pioveva, pioveva a dirotto sul Malecon dell’Havana. Una tempesta tropicale, non ancora trasformatasi in uragano, rovesciava sulla terra pioggia fitta e scura. Il vento forte piegava le palme, che ondeggiavano furiose come i capelli di un rasta ad un concerto rock. Non c’era nessuno in giro. Non c’erano le frotte di bambini dalla pelle bruna che di solito si tuffano dai muretti della passeggiata, per impressionare le coetanee e farsi rispettare dagli amici. Non c’erano le procaci signore dai vestiti leggeri che passeggiano ondeggianti sul lungomare. E nemmeno uomini col sigaro, giovani coppiette teneramente abbracciate, vecchi rivoluzionari e scaltri procacciatori d’affari. Neppure i coco taxi circolavano per strada e, a dire il vero, non passavano nemmeno le roboanti auto d’epoca che abbelliscono la capitale. In mezzo a quella tormenta spaventosa, non c’era anima viva. Anzi no. All’improvviso, da lontano, si andò delineando la figura di un uomo.
Avanzava lungo il Malecon, con un lungo impermeabile beige, ormai completamente zuppo. Nella tasca dell’impermeabile, con la mano sudata, stringeva una vecchia pistola americana. Il suo volto era imperturbabile, mentre grosse gocce gli solcavano le guancie rugose. Avrà avuto circa sessant’anni ma, come ogni buon cubano che si rispetti, ne dimostrava almeno ottanta. Camminava deciso, risoluto, solo, in mezzo a quello scatenarsi rabbioso di agenti atmosferici. Il Malecon, bagnato sia dal cielo che dalle spruzzanti onde del mare, sembrava una lastra di vetro, su cui si specchiavano i plumbei nuvoloni che ricoprivano la volta celeste. L’uomo, con lunghi stivali neri ai piedi, si faceva largo fra le pozzanghere, senza lasciarsi intimorire dal ruggire dell’oceano. Il passo sicuro poteva significare solo una cosa. Quell’uomo aveva qualcosa da fare e rimandare non era possibile. Non ci poteva essere altra spiegazione. Solo chi deve assolutamente portare a termine una missione, si avventura per strada in una giornata del genere e non prova alcun ripensamento al riguardo. Il fatto poi che avesse una pistola in tasca non rendeva certo la situazione più tranquilla. Doveva uccidere qualcuno, questo era chiaro, perché sul suo volto non traspariva la disperazione di chi sta per togliersi la vita. Quello che nessuno conosceva è chi fosse il predestinato. O meglio, forse qualcuno lo sapeva, ma non era dalle parti di questa storia per poterlo raccontare.
Fosche nubi si stavano addensando al largo, verso l’orizzonte. Possibile che di lì a poco quella tempesta avrebbe ottenuto una promozione. Trasformandosi in un devastante uragano. Ma l’uomo con l’impermeabile e la pistola non si preoccupava affatto del tempo. Si muoveva deciso, nonostante le raffiche di vento sbattessero contro i grigi palazzi affacciati sulla costa e ricadessero in basso, proprio dove stava passando. Un fuoco incrociato lo attaccava, infradiciandolo dalla testa ai piedi, ma lui non demordeva. Ostinato come un mulo, passo dopo passo, sfidava il mondo che si era coalizzato contro di lui e andava avanti. Ogni tanto la mano mollava la presa dal ferro, le dita si distendevano come per sgranchirsi un po’, per poi ritornare a stringere forte quel terribile arnese. La visibilità sul Malecon si faceva sempre più complicata. Colpa della pioggia che ora cadeva più fitta e sottile, quasi come le maglie di un setaccio che ostacolano il passaggio di qualsiasi corpo solido.
Anche l’oscurità della sera contribuiva a rendere impenetrabile quella coltre bagnata attraverso cui si muoveva. D’improvviso, alzando gli occhi davanti a lui, quell’uomo scorse, appena percettibile, come un’ombra che gli veniva incontro. Allora strinse più energicamente la sua arma e, con il pollice sull’attenti, si preparò a tirare indietro il cane. L’ombra si faceva sempre più vicina, anche se era difficile capire a chi potesse appartenere. Gli sembrò di scorgere del colore giallo addosso alla figura che stava fissando. Macchie cromatiche che risaltavano timide in mezzo a quella realtà cupa e grigia che avvolgeva l’Havana. A un certo punto gli parve che l’impetuoso rumore di fondo venisse rotto da un ritmico e flebile tintinnare di passi. Sul mare, intanto, uno stretto cono si staccò minaccioso dalla volta cinerea e avanzò danzando verso la superficie dell’acqua. La tanto attesa promozione si stava concretizzando: l’uragano stava prendendo forma proprio di fronte alla città e il suo nervoso e rapido vorticare non faceva presagire nulla di buono. Come per incanto il vento si afflosciò di colpo, come assorbito completamente nello sforzo di dare vita a quell’enorme mostro ondeggiante. Solo il sommesso fruscio della pioggia rimase a condensare l’atmosfera di suoni e allora il rumore di passi si fece più forte e distinto.
La donna, cui appartenevano le scarpe col tacco colpevoli di scandire quel ritmo lento e monotono, avanzava anche lei piuttosto risoluta, avvolta in una giacca gialla forse un po’ troppo leggera per sostenere da sola quella tempesta meravigliosa e potente. L’uomo si arrestò di colpo, strinse con decisione la pistola che ancora teneva in tasca e si preparò al suo utilizzo. Respirava profondamente, quasi a suggerire al cuore che batteva all’impazzata di adattare la sua cadenza a quella più serena e regolare dei polmoni. La donna era ormai molto vicina, forse una ventina di passi li separavano ancora, tempo qualche secondo e si sarebbero incrociati. Lui iniziò a muovere il braccio, spostandolo lentamente indietro, per estrarre la mano e ciò che impugnava fuori dalla tasca. Lei invece continuava a camminare, solenne e assorta, e non si era ancora accorta né dell’uragano che si avvicinava minaccioso alla costa né tantomeno dell’uomo che la stava aspettando. Intanto la pistola era ormai all’aria aperta e sulla sua superficie nera e lucida cominciavano a formarsi piccoli rigagnoli umidi che interrompevano per un attimo la loro corsa verso il suolo, nell’atto di accarezzare quel terribile strumento di morte. Strumento che ormai si trovava perfettamente eretto, puntato in direzione dell’esile e ignara figura che si avvicinava. L’uomo era adesso quieto, tranquillo come anche il clima che lo circondava, ammantato da una calma strana, irreale, presaga di sventure.
L’uragano intanto si stava ingrossando, il suo cono disegnava linee irregolari sul mare e si accostava sempre di più alla terraferma ormai immobile e atterrita. Le case lungo il Malecon ne seguivano la traiettoria trattenendo il fiato, sperando che prima o poi cambiasse idea e si dirigesse verso altri lidi. Tutti gli occhi erano puntati verso quel terribile mago dal grigio mantello che faceva sparire ogni cosa toccasse. Nessuno si era accorto della scena che si stava consumando là in basso sul marciapiede: di quell’uomo dall’impermeabile zuppo che teneva stretta in una mano una luccicante pistola, si direbbe mai usata prima. E la puntava verso la donna dalla giacca gialla che gli si approssimava assorta e che, molto probabilmente, non si era nemmeno accorta di non essere sola per strada.
I due erano ormai separati da un paio di passi e lui stava già piegando verso di sé il dito indice, appoggiato sul grilletto. Lei invece, con il viso piantato per terra, soppesava con attenzione ogni suo nuovo affondo nel terreno, per cercare di evitare almeno le pozze più scure e profonde. Ma a quello strano incontro si stava presentando un terzo e imprevisto protagonista. Infatti quel signore sceso volteggiando dalle nuvole aveva ormai sorpassato il muretto che delimita la fine del mare e l’inizio della terra o viceversa, a seconda del punto di osservazione da cui si ammira il tutto. Comunque, era già in mezzo alla carreggiata e sembrava puntare deciso verso quei due esseri umani dispersi nella tormenta. Ma né lui né lei, unici sull’intera scena del Malecon, sembravano notarlo: uno intento a prendere la mira, l’altra a dove posare i piedi. Fu un momento eterno, che sembrò non finire mai anche se tutto si svolse nel giro di un battito di ciglia. I tre erano l’uno accanto all’altro, si fronteggiavano senza nemmeno saperlo. O meglio l’uomo teneva sotto tiro la donna ma non aveva percepito l’approssimarsi dell’uragano. La donna dal canto sua non era a conoscenza della presenza di nessuno dei due compagni. Mentre l’uragano, chissà se era giunto fin lì portato dal caso o si era incuriosito nello scorgere da lontano quelle due uniche anime allo scoperto. Il momento di sospensione temporale fu bruscamente rotto dal rimbombo secco della pistola, che subito eruttò fuori con violenza un piccolo scuro proiettile. Questi iniziò a correre nell’aria verso la figura femminile a cui era stato destinato, ma quasi subito una forza invisibile e travolgente ne mutò la traiettoria, risucchiandolo all’interno dell’immenso e terribile fantasma grigio, che un attimo dopo si staccò da quei due e riprese la direzione del mare.
La donna, ignara di quanto le sarebbe potuto accadere, superò la figura maschile senza vederla e proseguì sulla sua strada con la stessa meticolosa andatura di prima. L’uomo si ritrovò di nuovo solo. Alle sue spalle la vittima designata si allontanava sana e salva, mentre il salvatore di lei perdeva vigore e intensità fra i flutti, al largo, con gran sollievo di tutti. Allora lui attraversò la larga carreggiata del Malecon, salì sul muretto che delimita il lungomare e scagliò fra le onde, con quanta forza aveva in corpo, la sua pistola. Un largo sorriso si aprì sulle sue labbra sottili e una piccola lacrima di gioia iniziò ad allargarsi sull’estremità interna dell’occhio sinistro.
"Malecon" è stato finalista alla III Edizione del Premio Letterario Percorsi letterari... "dal golfo dei poeti Shelley e Byron alla Val di Vara" - 2016
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