Qualcosa da leggere
Testi integrali dei racconti finalisti a concorsi letterari
Giungla d'asfalto
E’ vero vostro onore, lo confesso, li abbiamo uccisi tutti quanti noi.
Ne abbiamo uccisi tanti, lo so, ma questo è più per demerito vostro che per nostra abilità. Noi agivamo sempre alla luce del sole, senza organizzazione né pianificazione. Agivamo e basta, quando incontravamo sulla nostra strada qualcuno che si meritasse di morire. Si meritasse, ha capito bene vostro onore, noi non abbiamo mai ammazzato nessun essere umano che non fosse giusto eliminare. Siamo stati molto chirurgici nelle nostre azioni; abbiamo fatto fuori solamente persone pericolose, potenziali assassini, disturbatori dell’ordine civile. Come dice? Lei non crede che ciò corrisponda al vero. Solo perché tutti gli uomini e donne di cui ci siamo occupati non stavano in quel preciso istante facendo male a nessuno? E’ vero, quando abbiamo posto termine alle loro vite non stavano nuocendo al loro prossimo, ma avrebbero potuto farlo da un momento all’altro e per questo andavano uccisi, per il bene di tutti. Non riesce a capire, vostro onore? Come non riesce a capire! Quelle persone stavano guidando un’auto, e non come va guidata un’auto, rispettando le regole e gli altri, ma in maniera completamente opposta. Lo capisce adesso? Avevano un’arma letale sotto il loro sedere, stretta fra le mani e, se non li avessimo fermati in tempo, chissà quali stragi avrebbero procurato. Eh si ha ragione, vostro onore, noi siamo dei benefattori dell’umanità. Ah, era un’affermazione sarcastica. Sarà, però lei, sarcasmo o no, ha centrato proprio il significato ultimo del nostro agire: fare del bene all’umanità. No, vostro onore, non sto scherzando per niente e non sono nemmeno pazzo, come starà pensando lei e tutti quei simpatici signori che fanno parte della corte. Cosa c’è, vi sentite minacciati, in colpa anche tutti voi? Basta che quando stasera salirete in macchina per raggiungere le vostre case dimostriate di non usare il vostro mezzo di trasporto come un’arma carica. Allora non avrete nulla da temere. Scusi, vostro onore, non si arrabbi con me, la mia non era certo una minaccia, semmai più che altro un consiglio. Va bene, va bene, non divago più e comincio la mia confessione spontanea. Non ho niente da nascondere io e voglio che il mio messaggio rimanga bene impresso nella testa di tutti i presenti, che alla fine della storia non potranno che ritrovarsi d’accordo con me. Come le ho già detto prima, nessuna nostra impresa è stata pianificata, anche se col tempo siamo molto migliorati sotto l’aspetto dell’attrezzatura e dell’efficienza.
La prima volta è capitato tutto in modo molto naturale. Eravamo in autostrada e c’era un traffico piuttosto intenso e sostenuto. Alla guida ero io e, come al solito, stavo tenendo un’andatura tranquilla sulla prima corsia di marcia. Eravamo allegri, si ascoltava buona musica e l’unica cosa a cui aspiravamo tutti era arrivare a casa e rilassarci finalmente fra mura amiche. Poi è iniziata la manovra che ha sconvolto tutto e da cui tutto ha avuto inizio. Un grosso tir procedeva di fronte a noi, lento e fumoso. Dopo aver valutato l’assenza di altre automobili sulla corsia alla mia sinistra, ho messo la freccia e iniziato a sorpassare, accorgendomi che oltre al primo tir ve n’erano altri, a formare un lungo serpentone che avanzava sbuffando. Fu in quel momento che mi accorsi che da lontano si avvicinava rapido e minaccioso un macchinone di colore nero, lanciato a tutta velocità. E mentre ero ormai affiancato al primo dei tir da sopravanzare, questi ha cominciato a lampeggiarmi furiosamente, reclamando spazio. E dove avrei dovuto farlo passare secondo lei, vostro onore? Purtroppo non ho ancora imparato a smaterializzarmi e dissolvermi nel nulla. Va bene, smetto di fare lo spiritoso, ma ancora adesso mi chiedo cosa pretendesse quel tipo, cosa potesse passargli per la testa. E così io ho continuato a fare quello che stavo facendo, che fra l’altro le vorrei sottolineare, era l’unica cosa che potessi fare: sorpassare quella lunga carovana di tir. Dietro i lampeggianti continuavano, accompagnati da fastidiosi colpi di clacson e da un evidente sbracciare di quell’invasato che riempiva tutta la visuale del mio specchietto retrovisore, tanto era mi era attaccato al culo. Ed è a quel punto che la tranquillità si è dissolta e abbiamo iniziato a perdere la pazienza. Forse, vostro onore, quel primo nostro atto, nato spontaneo e senza alcuna premeditazione, è stato figlio della rabbia montata all’improvviso, forse potevamo anche rimanere calmi ed evitarlo. Fatto sta che è avvenuto e adesso non ci rimproveriamo proprio nulla, perché quell’uomo era armato di un bolide che non sapeva tenere a freno e avrebbe potuto attentare alla vita di chi avesse avuto la sfortuna di incrociarlo. D’accordo, la smetto con questa apologia dei crimini che abbiamo commesso, volevo solo cercare di far comprendere meglio a chi mi ascolta le ragioni che hanno mosso le nostre azioni. Va bene, vado avanti coi semplici fatti accaduti. Terminato il sorpasso della lunga fila, ormai gli animi su entrambi i veicoli erano surriscaldati. E così, senza nemmeno rendermene conto, ho iniziato a ostacolare chi mi seguiva, che cercava adesso di superarmi sia da destra che da sinistra, con rapidi spostamenti che io rintuzzavo con decisione. E in uno di qui tentativi, forse un po’ più deciso ed esasperato degli altri, è successo. Cosa, mi sta chiedendo? Ma lo sapete benissimo tutti. Ah, vuole sentirlo dire da me. E và bene. Il tizio, per evitare il mio taglio, ha perso il controllo dall’auto ed è finito fuori strada. Il veicolo imbizzarrito ha continuato per un po’ la sua insensata corsa sull’erba e poi ha iniziato a rotolare su sé stesso, molte volte, come impazzito. Solo il giorno dopo dal giornale abbiamo appreso il destino di quell’uomo: era morto sul colpo, avvinghiato alla sua rombante autovettura. Cosa dice? Perché non ci siamo fermati ad aiutarlo? Non lo so, lì per lì non siamo riusciti a comprendere quanto stava avvenendo ed io ho continuato a guidare come intontito dalla scena a cui avevo assistito. Pensavamo che il giorno dopo ci avrebbero subito trovato ed accusato e invece, i giorni passavano e nulla mutava nelle vite di tutti noi.
Quel primo gesto rimase l’unico per un po’, perché l’idea di liberare le strade da tutta quella massa di imbecilli pericolosi che le popolano, crebbe in noi poco a poco. Ma la crepa aperta sulla diga era ormai impossibile da contenere e la piccola fontanella si sarebbe presto trasformata in un’impetuosa cascata. Ci voleva il tempo necessario per far maturare in noi la convinzione di poter mettere in pratica quell’idea, di poterci trasformare nei giustizieri della strada. Ognuno a suo modo stava covando quell’ambizioso progetto, che l’adrenalina della prima volta aveva innescato e da cui ormai era impossibile sottrarci. Fu così che una sera, davanti a quattro boccali di birra, iniziammo a confidarci i nostri pensieri e decidemmo che toccava a noi agire per mettere in sicurezza gli altri. Pensate che siamo stati dei pazzi assassini? Vi sbagliate, la nostra scelta è stata ponderata e valutata con cura. Ma non c’era altro da fare: avremmo fatto rispettare le regole a modo nostro. E così sempre più spesso, eccoci sulle strade a valutare gli altri automobilisti, a giudicarli colpevoli o innocenti, meritevoli di vivere o morire. Ormai la morte non era più un tabù inespugnabile per noi e se la prima volta era stata casuale e scioccante, bene, quelle che seguirono furono nettamente più semplici e senza troppi strascichi di coscienza. Abbiamo ucciso automobilisti che si gettavano nel traffico senza saper rispettare una precedenza, prepotenti incapaci di capire il concetto di distanza di sicurezza, motociclisti che zigzagavano indiavolati fra le auto, ignoranti che non sapevano nemmeno come ci si immette in una rotonda, ansiosi che cercavano in continuazione uno spiraglio per improbabili e inutili sorpassi. Tutti esseri umani che rendevano la strada un posto pericoloso su cui stare, una vera e propria giungla d’asfalto dove dominava la legge del più forte e del più furbo.
Se oggi le nostre vie sono più sicure e tranquille è anche merito nostro: un bel po’ li abbiamo eliminati e tanti altri adesso hanno paura a sfogare le proprie rabbie e repressioni alla guida di un mezzo a due o quattro ruote. Cosa dice, vostro onore, che questo panegirico del reato le dà il voltastomaco. Ma guardi che noi abbiamo fatto ogni cosa a fin di bene. E poi, se voi foste stati un po’ più solerti a far rispettare le regole, forse non avreste mai avuto bisogno di noi. Lei pensa che ci divertissimo ad ammazzare le persone? Era solo una cosa che andava fatta, per il bene della comunità e, visto che voi non eravate in grado di agire, noi ci siamo sostituiti a voi e con ottimi risultati direi. Lo so, ne abbiamo uccisi tanti, ma questa è di nuovo un po’ colpa vostra. Ce ne avete messo del tempo per trovarci. Mica facevamo le cose di nascosto, noi. Tutto alla luce del sole, quando necessitava agire, si agiva e basta. Scusi, la smetto di divagare e vado avanti. Allora dove ero rimasto, ah già ora ricordo. Al picco di esecuzioni dei primi tempi è seguito un periodo di relativa calma. Come saprà anche lei, vostro onore, la paura è un deterrente efficacissimo per impedire alle persone di compiere determinate azioni. E in effetti in tutta la città e perfino fuori, le cose stavano cambiando: tutti ligi alle regole, tutti calmi e composti. Girare per strada era diventato un piacere. Ma ora che ci avete fermato, rinchiuso in un carcere, sono sicuro che le cose torneranno esattamente come prima. Senza più nessun pericolo incombente, tutti quei furbetti spericolati e ignoranti torneranno a fare i loro porci comodi e il nostro paziente lavoro di sensibilizzazione sarà stato del tutto vano. Non crede anche lei, vostro onore? No? Vabbè, dopo tutto ognuno ha le sue opinioni. Vuole che finisca la confessione? Ok, procedo.
Le stavo appunto dicendo che la situazione in giro era notevolmente migliorata, tanto che di rado ci toccava intervenire per punire qualche trasgressore. Poi un giorno, notammo un tale che con il suo gigantesco suv stava cercando di collezionare quante più infrazioni gli riuscisse. Semafori rossi, sorpassi pericolosi su strisce continue, sorpassi a destra, cambi di direzione senza il minimo uso degli indicatori di direzione. Era un vero portento di insipienza stradale, tanto che ci è stato piuttosto difficile pedinarlo e raggiungerlo. Ma alla fine ce l’abbiamo fatta e, per non farcelo scappare, abbiamo deciso di speronarlo con decisione. E’ stato un bel botto, ma non tale da metterlo ancora ko. Avesse visto, vostro onore, con che foga, con quale rabbia è saltato fuori dal suo carrozzone. Era paonazzo in volto, digrignava i denti, sembrava un cane inferocito. Ma noi sapevamo bene come renderlo mansueto. Lo sa, vostro onore, come è facile far cambiare atteggiamento, se si sanno utilizzare i giusti mezzi di persuasione. E, in questo caso, cosa poteva esserci di meglio di una bella pistola scura e luccicante, puntata diritta verso quel bellimbusto tutto muscoli e furia. Eh si, basta poco a far ragionare la gente, basta un piccolo attrezzo in mano e tutto cambia prospettiva. Avesse visto come si è ammansito, alla vista di quel nero giocattolo, come ha cambiato faccia e piglio. Adesso non era più un cane che abbaia, ma un piccolo cucciolo indifeso, con gli occhi spaesati, incapace di prendere una qualsivoglia decisione. Ha iniziato a supplicare, vostro onore, era proprio buffo con le orecchie basse e il colorito che da rosso vermiglio si faceva di un bianco cadaverico. Noi, lungi dal farci impietosire, abbiamo compiuto il nostro dovere: bam, bam e via di corsa. Sfortuna volle, e di sfortuna si può proprio parlare in questo caso, che tre volanti dei carabinieri passassero di lì in quel preciso istante. A volte il destino sa essere proprio beffardo. Fosse stata una, probabilmente qualcuno del gruppo l’avrebbe fatta franca. E invece tre auto e anche belle cariche di sbirraglia. Fatto sta che, dopo un breve inseguimento, ci hanno preso e portato in gattabuia. Il resto poi è cronaca di questi giorni e non penso che debba soffermarmici oltre.
Che dice, vostro onore, può andar bene come confessione spontanea? Bene, sono contento che quanto ho detto sia di suo gradimento. Vuole farmi ancora qualche domanda? Solo una? Prego, dica pura, sono pronto a risponderle. Vuole sapere se sono pentito di quello che abbiamo combinato? Ma allora, vostro onore, non ha ascoltato una parola di quello che le ho raccontato. Pentito? Ma come posso essere pentito se ho solo fatto del bene. Ho tolto di mezzo gente pericolosa, gente senza cervello, idioti patentati. Persone socialmente pericolose perché incapaci di vivere a contatto con gli altri, incapaci di rispettare il loro prossimo. Persone arroganti che pensavano di vivere in un mondo tutto loro, dove ogni cosa è permessa e guai a intralciargli il cammino. No, vostro onore, non sono affatto pentito, rifarei ogni cosa esattamente uguale a come l’ho fatta. E se lei ritiene che ho sbagliato, che ho ucciso arbitrariamente, che ho infranto a mia volta la legge compiendo crimini orrendi, posso accettare il suo punto di vista. Ma, vostro onore, pensa veramente che se avessimo utilizzato altri mezzi di persuasione, tipo il dialogo o le multe, come usate voi, avremmo ottenuto lo stesso risultato? Io non penso proprio. Guardi che far west continuo che sono le nostre strade. Morti ammazzati per la troppa velocità, per la leggerezza con cui molti si mettono al volante, per il menefreghismo totale delle possibili conseguenze del loro agire. Le voglio fare un esempio, vostro onore. Immagini sua figlia che sta attraversando la strada, sulle strisce, proprio come si dovrebbe fare. E immagini che in quel preciso istante, sopraggiunga un’auto, lanciata a folle velocità e la persona alla guida non si accorga della ragazza che gli sta di fronte e la investa in pieno, uccidendola sul colpo. Ebbene, vostro onore, se ne avesse l’occasione, lei non l’ammazzerebbe una persona così?
Il mio amico Tonino è stato finalista alla X Edizione del Premio Letterario Giovane Holden
Pubblicato nell'antologia: AA.VV. "I giovani di Holden Vol.2", Giovane Holden Edizioni - 2016
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